Rischia una condanna per estorsione il condòmino che pretende con violenza una ricevuta non dovuta

Ecco cosa rischia il condomino che vuole per forza la ricevuta senza averne diritto

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In tema di pagamento degli oneri condominiali, ottenere con la forza una ricevuta che si sa di non potere avere può portare ad una condanna per estorsione.

È questa, in sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione penale con la sentenza n. 50594 depositata in cancelleria l'8 novembre 2017 in seguito a discussione in pubblica udienza del 10 ottobre 2017.

Quando si può essere accusati di estorsione?

Parlando di estorsione la mente va subito a quell'odioso reato commesso contro i commercianti costretti a pagare "il pizzo". (Quando le spese condominiali gonfiate diventato delle vere e proprie tasse. Ecco i trucchi utilizzati.)

L'estorsione, però, non è solo quella. Il delitto di estorsione si configura tutte le volte in cui chiunque costringe un altro a fare o ad omettere qualche cosa e così facendo procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

L'estortore deve agire sapendo che ciò che pretende non gli è dovuto così da procurarsi un ingiusto profitto e conseguenza dell'azione dev'essere il danno per qualcun altro.

Affine nelle forme, ma differente nella sostanza è il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia sulle persone (art. 393 c.p.); in tal caso chi agisce violando la legge lo fa al fine di esercitare un preteso diritto.

Insomma nel primo caso il reo fa qualcosa che non avrebbe proprio dovuto fare, mentre nella seconda fa una cosa che avrebbe dovuto fare in maniera differente, ossia chiedendo giustizia all'Autorità Giudiziaria.

Il condòmino può commettere un estorsione contro l'amministratore?

La risposta alla domanda è sì e la sentenza n. 50594 spiega anche il perché.

In questo caso due persone erano state condannate in primo grado per i reati di lesioni ed estorsione per avere ottenuto mediante violenze sull'amministratore condominiale delle ricevute di pagamento a loro non dovute.

In secondo grado la "mannaia" della prescrizione portava alla sentenza di non doversi procedere per il reato di lesioni, mentre veniva confermato quello di condanna per la condotta estortiva.

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Ciò che erano riusciti ad ottenere gli imputati con la loro condotta era una ricevuta di pagamento della somma di € 3.000,00. La condanna per estorsione era stata motivata dal fatto che non v'era alcuna giustificazione che potesse giustificare quel comportamento.

La giustificazione, ossia la pretesa di agire in difesa di un proprio diritto, avrebbe comportato una diversa condanna, ossia per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, fatto sicuramente penalmente rilevante ma di minore gravità.

Davanti alla Corte di Cassazione, la difesa degli imputati ha cercato nuovamente di ottenere quanto meno la derubricazione del reato dal fatto più grave di estorsione a quello meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

L'impianto accusatorio e quindi la sentenza impugnata, però, hanno retto anche al vaglio della Corte nomofilattica.

Si legge in sentenza che «i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione si distinguono anche in considerazione del fatto che, nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione, ragionevole anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto, pur nella consapevolezza di non averne diritto (Sez. 2, n. 46288 del 28 giugno 2016, Rv 268362; Sez. 2, n. 22935 del 29.5.2012, Rv 253192)» (Cass. 10/10/2017 - 8/10/2017 n. 50954).




Fonte: www.condominioweb.com