Sopraelevazione / ampliamento richiedono il preventivo rilascio del permesso di costruire.

Una serie di opere realizzate sul terrazzo di un immobile sono da considerarsi nella loro interezza

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Una serie di opere realizzate sul terrazzo di un immobile, ritenute dal proprietario precarie e amovibili, in realtà sono da considerarsi nella loro interezza in quanto concorrono nel complesso all'ampliamento di una preesistenza e dunque ad una vera e propria sopraelevazione.

L'intervento, pertanto, è da assoggettarsi al rilascio del Permesso di Costruire.(Corte di Cassazione, sentenza 51599del 15 novembre 2018).

L'intervento edilizio. Il proprietario di un immobile insistente in zona sismica, realizza alcune opere edilizie senza alcun titolo abilitativo, volte nel complesso a sopraelevare un preesistente manufatto, nonché ad ampliarne la superficie e la volumetria.

Nel dettaglio, il manufatto preesistente viene ampliato dotandolo di copertura a falda unica in legno e tegole, piano di calpestio in lame inserite nei muri perimetrali e assi in legno (circa 35 mq. di superficie e altezza di colmo di 3 mt.), impianto idrico ed elettrico, scala di accesso dal piano inferiore interna (a rampa unica in ferro), nonché una ulteriore tettoia con struttura portante in legno e copertura a tegole (per una superficie di circa 8 mq.).

Lo stesso proprietario, dopo la sentenza di condanna per abusivismo edilizio, sosteneva di aver realizzato quelle opere in assenza di titoli abilitativi perché ritenute precarie e amovibili e, inoltre, di aver presentato richiesta di sanatoria e di essere ancora in attesa della chiusura del procedimento.

La conferma della sentenza di abusivismo edilizio. La Corte di Cassazione, con sentenza 51599/2018 del 15 novembre scorso conferma in pieno la sentenza del Tribunale, condannando il proprietario per abuso edilizio avendo realizzato opere che, nel complesso, costituiscono una sopraelevazione e pertanto rientrante nel novero delle nuove costruzioni; dunque, così come previsto dal D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell'Edilizia), gli interventi di nuova costruzione costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e pertanto sono subordinati al Permesso di Costruire (art. 10, lett. a).

La disamina della Corte parte dal presupposto che tutti i manufatti realizzati non possono considerarsi in maniera separata, ma bensì nella loro interezza, costituendo organicamente un unico intervento finalizzato alla sopraelevazione e all'ampliamento di un preesistente edificio.

Altro motivo di inammissibilità del ricorso è la presunta amovibilità e precarietà delle strutture, come affermato dal proprietario.

In realtà, è ben evidente l'assenza di tali requisiti: una struttura per essere definita precaria deve soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee ed essere immediatamente rimossa al cessare della necessità (entro un termine non superiore a 90 giorni); per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull'originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo.

Per tutti questi motivi, le opere edilizie in questione non possono rientrare nella categoria delle opere precarie, presentando in maniera evidente le caratteristiche di una sopraelevazione e di un ampliamento volumetrico di una preesistenza, oltrechè la dotazione stabile di impianti elettrici ed idrici e la accertata destinazione ad uso abitativo degli ambienti ricavati (camera da letto e bagno).

A nulla serve la procedura di sanatoria avviata dal proprietario e non ancora conclusa. Secondo la Corte, anche se l'azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non risultano esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria (così come riportato dall'art. 36 del D.P.R. 380/2001), è pur vero che sulla richiesta di sanatoria l'ufficio competente deve pronunciarsi entro 60 giorni dalla presentazione della domanda e, decorso il termine, la domanda si intende rifiutata; in tal caso si configura una ipotesi di silenzio-rifiuto che si traduce in un provvedimento esplicito di diniego.

Fonte: condominioweb