La sorte del credito condominiale in caso di fallimento del condomino-imprenditore

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L'ipotesi di fallimento del condomino imprenditore, che svolge, dunque, attività commerciale, configura, da sempre, una situazione alquanto complessa per l'amministratore di condominio, con riguardo alla gestione dell'immobile e soprattutto per quanto attiene alle precise procedure da porre in essere per il recupero delle spese condominiali del fallito.

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Il fallimento, che è disciplinato principalmente dal R.D. n. 267 del 16 marzo 1942, c.d. legge fallimentare, è una procedura concorsuale liquidatoria diretta ad accertare lo stato di insolvenza dell'imprenditore, con l'intero suo patrimonio, i crediti vantati nei suoi confronti e la loro relativa liquidazione.

Tale procedura potrebbe durare anche anni, seppure ogni tribunale ha i suoi tempi, essendo il fallimento articolato in più fasi, che vanno dalla trascrizione del provvedimento alla vendita all'asta dell'immobile, fino al definitivo decreto di chiusura del fallimento, che attesta il passaggio di proprietà ed il c.d. spossessamento dei beni del fallito.

Una delle figure principali del fallimento è quella del curatore fallimentare che viene nominato, insieme al giudice delegato alla procedura, nella sentenza con la quale il tribunale, ai sensi dell'art. 16 della legge fallimentare, dichiara il fallimento dell'imprenditore.

Il curatore fallimentare amministra il patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, scelti tra gli aventi diritto, seppure è da considerare terzo rispetto agli atti compiuti dal fallito, essendo solo un semplice gestore del patrimonio fallimentare (ex multis Cass. SS.UU. n. 8879/90 e di recente, Cass. SS.UU. n. 4213/2013).

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È al curatore fallimentare che l'amministratore, al pari degli altri creditori, dovrà rivolgere la domanda di ammissione al passivo, per il recupero dei crediti condominiali, atteso che l'immobile di proprietà del condomino fallito rientra nella massa attiva fallimentare.

La domanda di immissione al passivo fallimentare per il recupero del credito condominiale, non ha bisogno di autorizzazione o delibera da parte dell'assemblea di condominio, in quanto, può ritenersi come un'attività compresa nelle attribuzioni previste dall'art. 1130 n. 3 c.c. in capo all'amministratore, così come per l'atto ingiuntivo di cui al comma 1 dell'art. 63 disp. att. c.c., finalizzato al recupero delle quote condominiali.

In pratica l'amministratore, ai sensi dell'art. 93 della legge fallimentare, presenta al curatore fallimentare, presso il tribunale che ha dichiarato il fallimento, una semplice istanza, anche in forma telematica, indirizzando la domanda per il pagamento delle quote condominiali del condomino-fallito all'indirizzo pec del curatore, già indicato nell'avviso ai creditori di cui all'art. 92 della stessa legge fallimentare.

L'istanza dell'amministratore deve contenere l'indicazione del credito vantato dal condominio amministrato nei confronti del condomino-fallito e deve includere i documenti comprovanti le quote condominiali richieste, cioè i rendiconti ed i preventivi di spese, con relativi verbali di approvazione.

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In proposito, però, bisogna distinguere il caso in cui il curatore fallimentare sia a conoscenza del fatto che tra i creditori del fallito vi è il condominio dal caso in cui non lo sia:

1) nel caso in cui il curatore fallimentare è a conoscenza che tra i creditori del fallito vi è il condominio, allora sarà lo stesso curatore ad inviare all'amministratore la comunicazione ufficiale con gli estremi della procedura fallimentare in corso, indicando, con congruo anticipo, la data entro cui presentare la c.d. “domanda di immissione al passivo fallimentare”.

2) nel caso in cui il curatore fallimentare non è a conoscenza del fatto che tra i creditori del fallito vi è il condominio, sarà l'amministratore, dopo aver avuto cognizione della procedura fallimentare, a prendere contatti con il curatore e provvedere a presentare la domanda di ammissione al passivo.

In entrambi i casi la domanda di ammissione al passivo fallimentare deve essere presentata trenta giorni prima dell'udienza di verifica dei crediti, tuttavia i creditori ritardatari possono insinuarsi nel passivo del fallimento fino a dodici mesi successivi al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, da parte del giudice delegato.

Le domande tardive presentate oltre i dodici mesi dal decreto di esecutività sono inammissibili, salvo che il creditore riesca a provare che il ritardo non è ascrivibile ad una sua colpa.

L'accertamento dei crediti insinuati tardivamente avviene in apposite udienze fissate, ogni quattro mesi, dal giudice delegato, e comunque i creditori tardivi possono partecipare solo alla distribuzione dell'attivo eccedente dopo la loro ammissione e sempre in proporzione al relativo credito.

In pratica l'amministratore di condominio, che è costretto a rapportarsi con il curatore fallimentare, potrebbe attendere anni, prima di ottenere il pagamento dei contributi condominiali approvati dall'assemblea dei condòmini, con tutte le difficoltà pratiche attinenti alla gestione delle spese ed all'erogazione dei servizi comuni.

Ad ogni buon fine è consigliabile che l'amministratore, dopo la presentazione della relazione particolareggiata del curatore sulle cause e circostanze del fallimento, di cui all'art. 33 della legge fallimentare, si rapporti con la curatela almeno ogni sei mesi, in quanto entro tale termine lo stesso curatore deve redigere un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni raccolte dopo la prima relazione, accompagnato dal conto della sua gestione.

A tal proposito ci si domanda come vengano trattati i crediti condominiali nella procedura fallimentare, atteso che tutti i creditori dell'imprenditore fallito hanno diritto ad insinuarsi al passivo del fallimento

È noto che al termine della procedura fallimentare il curatore effettuerà i pagamenti sulla scorta di quanto ricavato come attivo del fallimento, seguendo i criteri dettati dalla legge e cioè, prima dovranno essere soddisfatti i creditori privilegiati, secondo i differenti gradi di privilegio, e poi si passerà ai creditori chirografi.

In linea generale lo Stato e gli enti pubblici sono creditori privilegiati per i crediti tributari, così come i crediti assistiti dal pegno e dall'ipoteca hanno diritto di essere soddisfatti, con precedenza sugli altri creditori non privilegiati.

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Per quel che ci occupa, le quote condominiali non sono assistite da alcun privilegio, per volontà del legislatore, che non ha inteso attribuire ai crediti in questione tale qualifica, e peraltro le stesse quote condominiali continuano a maturare anche dopo la dichiarazione di fallimento.

Peraltro sono escluse dai privilegi anche le spese per il decreto ingiuntivo e per il precetto, antecedenti il pignoramento.

Per completezza di ragionamento si osserva che, in generale, né la curatela nè tantomeno il giudice delegato possono eccepire nulla in merito alla validità del credito in presenza di domande fondate su atti giudiziari, passati in giudicato, così come nel caso di un decreto ingiuntivo munito del provvedimento ex art. 647 c.p.c., anteriormente alla sentenza di fallimento (Cass., n. 1650 del 27/01/2014; Cass., n. 2112 del 31/01/2014).

Per quanto riguarda i crediti condominiali occorre, comunque, distinguere tra crediti condominiali maturati prima e dopo il fallimento.

I crediti maturati prima della sentenza di fallimento non sono assistiti da alcun privilegio, mentre quelli maturati dopo il fallimento, così come previsto dalla legge fallimentare, assurgono alla prima posizione e vengono definiti c.d. prededucibili, cioè vengono pagati con precedenza assoluta rispetto agli altri e quindi prima della periodicità quadrimestrale dei riparti parziali, conteggiati dalla data del decreto che rende esecutivo lo stato passivo ex art. 96 della legge fallimentare o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato.

Sotto tale profilo il condominio assumerà una duplice posizione: una, nei confronti del condomino fallito, per le spese condominiali attinenti al periodo anteriore alla data di dichiarazione del fallimento e l'altra, verso il curatore fallimentare per il pagamento di quelle deliberate e sostenute dopo tale data.

Nello specifico i crediti condominiali maturati prima della dichiarazione di fallimento sono crediti concorsuali, che dovranno essere accertati ed ammessi al passivo ai sensi dell'art. 93 “domanda di ammissione al passivo” e dell'art. 101 “domande tardive di crediti”, mentre i crediti condominiali per spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e per innovazioni, relative ad uno stato di ripartizione approvato dall'assemblea condominiale in data successiva alla dichiarazione di fallimento, sono esigibili ex art. 63 disp. att. c.c. e quindi prededucibili ai sensi dell'art. 111 comma 1 n. 1 e comma 2 legge fallimentare, cioè potranno essere saldate al di fuori del procedimento di riparto, secondo le previsioni dell'articolo 111 bis comma 3 della legge fallimentare.

In linea generale è consigliabile che l'amministratore di condominio chieda sempre al curatore fallimentare il pagamento in prededuzione delle quote condominiali maturate successivamente alla data del fallimento, lasciando allo stesso curatore l'incombenza di un'eventuale rivalsa nei confronti del condomino-fallito, naturalmente ove ne ricorrano i presupposti, nella certezza che il curatore deve corrispondere le spese prededucibili in presenza di fondi disponibili in cassa.

In merito ai crediti condominiali maturati dopo il fallimento bisogna altresì analizzare l'ipotesi particolare in cui il condomino fallito continui ad abitare nella propria abitazione.

La legge fallimentare prevede che la casa di proprietà del condomino fallito, nel caso in cui sia necessaria per la propria abitazione e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino a quando non siano completate tutte le attività.

Pertanto, nel caso in cui il fallito continui a godere dell'appartamento, le spese condominiali ordinarie non potranno gravare sulla massa fallimentare rimanendo l'onere del pagamento delle stesse spese a carico del condomino fallito che, verosimilmente, non corrisponderà niente all'amministratore di condominio, ed in molti casi procederà pure a danneggiare l'immobile prima dell'aggiudicazione all'asta.

Sotto tale profilo le spese inerenti al godimento di un immobile da parte del fallito, compresi gli oneri relativi alla gestione ordinaria per il periodo successivo al fallimento, non rientrano tra i debiti contratti per l'amministrazione del fallimento, da soddisfarsi in prededuzione, ma rimangono ad esclusivo carico del fallito medesimo sino a quando l'immobile è da lui effettivamente abitato.

Viceversa gli oneri relativi alle spese di gestione straordinaria di tale immobile sono a carico della massa e vanno soddisfatti in prededuzione, ai sensi dell'art. 111 legge fallimentare” (Trib. di Nola, sentenza del 27 novembre 2008).

In linea teorica, più che pratica, il condomino fallito dovrebbe essere chiamato a pagare solo le spese per i servizi di cui usufruisce direttamente, mentre le spese straordinarie, che attengono alla conservazione e alla manutenzione dell'immobile, sono invece addebitabili alla massa e vanno soddisfatte in prededuzione, in quanto una migliore conservazione e manutenzione delle parti comuni rende più appetibile la vendita dell'appartamento all'asta a vantaggio del fallimento.

È ovvio che se l'appartamento è vuoto, le spese condominiali sono da considerarsi a carico della massa fallimentare, essendo nel potere della curatela stipulare un contratto di locazione o procedere con la vendita ad un prezzo congruo.

In ogni caso l'ipotesi di fallimento del condomino imprenditore rappresenta una delle peggiori prospettive per il condominio, che assiste all'avvicendamento del condomino-fallito con il curatore-fallimentare altrettanto insolvente, per difficoltà nei pagamenti.




Fonte: www.condominioweb.com