Regolamento di condominio e decoro architettonico: quando la rimozione dell'opera abusiva diventa inevitabile

Da un anonimo ripostiglio ad un vano abitale…il passo è breve, ma pericoloso

Tag: condominio, regolamento, decoro architettonico

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Prima della "cura" era un piccolo, anonimo ripostiglio sul terrazzo di uno stabile. Dopo la cura è diventato un bel superattico, complice la realizzazione di un aumento di volumetria apportato dalla copertura posta su una più ampia porzione del lastrico solare.

Quando l'assemblea condominiale espresse dieci anni fa la sua approvazione alla richiesta di rendere "abitabile" il vano deposito che unitamente al terrazzo fa parte di un'unica proprietà, non avrebbe certamente mai potuto immaginare come l'esito di tale disponibilità si sarebbe poi concretizzato in una procedura giudiziale tutt'altro che amichevole.

I condòmini, infatti, non hanno avuto altra scelta che quella di citare in giudizio la proprietaria artefice dell'opera lamentando l'insorta "disarmonia architettonica" del palazzo e chiedendo la condanna alla rimozione del manufatto e al risarcimento del danno per la "temporanea privazione" del decoro dell'edificio.

"Se si dovesse aver riguardo al parametro codicistico, quale interpretato dalla S.C., quello in esame sarebbe un caso emblematico in cui la questione sul se ricorra o meno unpregiudizio all'aspetto architettonico riesce problematico".

Così introduce, nell'esame del merito, la sentenza n. 2237/2019 pubblicata il 18 ottobre 2019 dal Tribunale di Taranto, II Sezione in composizione monocratica - Dott.

Claudio Casarano, ove si evincono, unitamente alle statuizioni risultanti dall'applicazione delle prescrizioni codicistiche, pregevoli spunti di riflessione sul concetto di alterazione del decoro degli edifici.

"E' indubitabile - afferma il Tribunale ionico - che si sia realizzata con la veranda nel superattico una oggettiva disarmonia architettonica, ma è pur vero che l'interpretazione corrente è nel senso che non sia solo questo il parametro dirimente: non è a dire che sol che ricorra una disarmonia debba ravvisarsi il pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio".

Effettivamente non è sempre agevole valutare la reale "consistenza" delle innumerevoli tipologie di brutture che quotidianamente si rilevano - o al più approfondito esame possono rilevarsi - da azioni "indipendenti" intraprese al limite della legalità da proprietari temerari o, peggio ancora, totalmente sconsiderati.

Si rilevano o possono rilevarsi, abbiamo detto. Questo è il punto.

Come richiamato dal Tribunale di Taranto, "in tema di sopraelevazione dell'ultimo piano o del lastrico solare degli edifici costituiti in condominio, il pregiudizio all'aspetto architettonico, che ai sensi del comma 3 dell'art. 1127 c.c. consente l'opposizione dei condomini, consiste in un incidenza di particolare rilievo della nuova opera sullo stile architettonico dell'edificio che - essendo immediatamente apprezzabili "icto oculi" ad un'osservazione operata in condizioni obiettive e soggettive di normalità da parte di persone di media preparazione - si traduce in una diminuzione del pregio estetico e quindi economico del fabbricato". (Cass. Civ., Sez.II, 12.9.2003 n.13426).

Per decifrare i limiti del decoro architettonico pare dunque che ci voglia ben altro, rispetto a pure e semplici coperture parziali dei terrazzi. E nel caso in esame, in ordine al quale la perizia d'ufficio aveva chiarito che la reclamata disarmonia "non appare visibile ad un normale osservatore, ma solo quando lo faccia uno posto a debita distanza, metri 85, da altra via", le pretese del condominio attore sembrerebbero davvero di difficile accoglimento.

Come spesso accade c'è però un importante "ma", che rappresenta il vero fulcro della causa e che ha condotto il Giudice a diversa decisione. "Per effetto dell'art. 9 del regolamento condominiale, regolarmente trascritto, è vietata ogni sopraelevazione in deroga all'art. 1127 c.c., per tale dovendosi intendere anche il caso ricorrente della veranda a copertura del superattico: non occorre cioè, per la sua configurazione - spiega il Tribunale di Taranto - la realizzazione di un nuovo piano ma anche una fabbrica che implichi un aumento di volumetria accompagnata da un innalzamento del limite superiore dell'edificio: dalla terrazza alla copertura della veranda".

E a nulla sono servite le contestazioni del procuratore della proprietaria chiamata in causa, tese ad inquadrare la fattispecie nell'alveo delle disposizioni di cui all'art. 1122 c.c., dal momento che - come rilevato dal Giudicante - "con la predetta opera la convenuta aumentando la volumetria del proprio vano e trasformando ad un tempo la destinazione della porzione della terrazza di sua proprietà esclusiva, creava una nuova fabbrica in sopraelevazione", e il solo limite da prendere in considerazione "è quindi quello del pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio, di cui al comma terzo dell'art. 1127 c.c. e non quindi quello implicato dalla vecchia formulazione dell'art. 1122 c.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e cioè la sola ricorrenza del danno alle cose comuni, come opinava invece la difesa convenuta".

La previsione contenuta nel regolamento di condominio qualifica dunque il diritto accampato dall'ente attore, che ha "natura reale e quindi si tratta di diritto autodeterminato", come specifica in sentenza il Tribunale di Taranto.

Ed anche se "solo in comparsa conclusionale l'attore evocava l'art. 9 del regolamento condominiale", come rilevato dalla sua difesa e come stabilito dal Tribunale di Taranto, "quello che fonda la domanda è un diritto reale e non eterodeterminato: si identifica quindi l'azione proposta solo avendo riguardo al contenuto del diritto, prescindendo dal titolo; con lconseguenza - afferma il Giudice - che il suo rilievo integra una mera difesa e non una eccezione in senso stretto".

Sottolinea così il Magistrato la possibilità che vengano rilevati d'ufficio tali elementi rientranti nell'alveo dei diritti assoluti - reali o di "status", i quali "si identificano in sé e non in base alla loro fonte (amplius quam semel res mea esse non potest), come accade invece per i diritti obbligatori; pertanto l'attore può mutare il titolo - atto o fatto, derivativo o costitutivo - in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (art. 183, 189 e 345 c.p.c.) e oneri (art 292 c.p.c.) della modifica della causa petendi; né sussiste violazione del principio della domanda (art. 112 c.p.c.) se il giudice accoglie il petitum in base ad un titolo diverso da quello invocato" (Cass.Civ., Sezione II, 20-5-997 n. 4460).

La conclusione appare dunque scontata. L'esistenza di un preciso regolamento condominiale e la riconduzione della fattispecie all'applicabilità dell'art. 1127 c.c., non lasciano spazio ad alcun dubbio ed offrono lo scontato presagio dell'esito del giudizio.

E nel dispositivo, pur con la compensazione integrale delle spese, si condanna infatti la imprudente iniziativa della proprietaria del deposito-superattico alla rimozione delle opere esorbitanti lo status originario del manufatto stesso, con totale rigetto di ogni altra domanda ed eccezione.



Fonte: www.condominioweb.com