Rumori molesti dell'inquilino: risponde anche il proprietario?

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Il problema delle immissioni rumorose provenienti dall'appartamento del vicino rientra nel novero delle questioni sempre attuali e, purtroppo, spesso irrisolte. Le difficoltà di dimostrare la responsabilità civile (e talvolta penale) del vicino incivile sono numerose, in quanto spesso non ci sono persone disposte a testimoniare e la perizia fonometrica ha costi elevati.

Talvolta, quando la situazione diventa insostenibile, si cerca aiuto nell'amministratore di condominio oppure nel proprietario dell'abitazione, affinché intervengano per redarguire il condomino/conduttore rumoroso.

Con questo contributo ci occuperemo proprio di questo tema: vedremo cioè se per i rumori molesti dell'inquilino risponde anche il proprietario.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la numero 2474 del 27 gennaio 2022) ha, seppur incidentalmente, toccato questo argomento, mettendo in rilievo la decisione dei giudici di merito, apparentemente in contrasto con quello che sembra essere l'orientamento giurisprudenziale prevalente. Approfondiamo il tema e vediamo se per i rumori molesti dell'inquilino risponde anche il proprietario.

Immissioni rumorose: l'art. 844 c.c.

La norma di riferimento in tema di immissioni è l'art. 844 del codice civile, secondo cui «Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

ell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso».

Secondo la disposizione appena citata, non possono essere impedite le immissioni provenienti dal fondo altrui se le stesse non superano la normale tollerabilità. Questo limite deve essere valutato dal giudice, in quanto la legge non fornisce un parametro di riferimento certo.

Il giudice, pertanto, dovrà di volta in volta valutare tutti i fattori del caso, quali le condizioni dei luoghi, le attività normalmente svolte, le abitudini delle persone, ecc. Il giudice potrà tenere conto anche del cosiddetto preuso: ad esempio, se si compra un'abitazione nei pressi di una fabbrica, dopo non ci si potrà lamentare dei rumori provenienti da quest'ultima, visto che, al momento dell'acquisto, si era già a conoscenza della situazione.

Nel caso in cui i rumori siano intollerabili, la persona danneggiata può chiedere il risarcimento del danno e la tutela inibitoria, cioè la cessazione della condotta molesta; oltre a ciò, in taluni casi è addirittura possibile denunciare l'autore della condotta molesta (se ne parlerà nel prosieguo).

Immissioni di rumore: cosa dice la legge?

Nonostante la discrezionalità attribuita nella valutazione della tollerabilità o meno dei rumori, il giudice ha dei parametri su cui calibrare la propria decisione.

La legge n. 13 del 27 febbraio 2009, all'art. 6-ter (Normale tollerabilità delle immissioni acustiche) stabilisce: «Nell'accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell'articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso».

Le norme principali che disciplinano il settore dell'inquinamento acustico esterno sono contenute nella legge quadro 26 ottobre 1995, n. 447, nel Dpcm 1 marzo 1991 e nel successivo Dpcm 14 novembre 1997.
La legge quadro sull'inquinamento acustico ha riconosciuto ampi poteri alle regioni e agli enti locali, in particolare ai Comuni, in relazione alla classificazione acustica dei loro territori e al rilascio dei provvedimenti autorizzatori.

Il Dpcm del 1997 ha disciplinato ulteriormente la materia, stabilendo limiti più precisi e suddividendo il territorio in diverse classi, ognuna caratterizzata da un certo rumore di fondo e, di conseguenza, da determinati limiti da rispettare.

L'art. 4 stabilisce dei limiti massimi differenziali per i rumori percepiti all'interno delle abitazioni. Essi consistono nella differenza, sempre in decibel, tra l'immissione di rumore (denominato ambientale) e il rumore presente senza l'immissione (denominato residuo). Questi limiti sono 5 Decibel di giorno (dalle ore 6.00 alle ore 22.00) e 3 Decibel di notte (negli altri orari).

Orbene, è chiaro che per dimostrare il superamento di tali valori occorre una perizia fonometrica. Solo un accertamento tecnico potrebbe appurare la violazione della normativa appena citata.

Rumori molesti: risarcimento e sanzione amministrativa

L'inosservanza dei limiti imposti dalla legge comporta una sanzione amministrativa, mentre i rumori intollerabili di cui all'art. 844 c.c. causano il risarcimento del danno, cioè una sanzione di tipo privatistico.

In altre parole, l'immissione intollerabile di cui parla l'art. 844 c.c. non si identifica necessariamente con quella che supera i limiti della legge sull'inquinamento acustico: il giudice, infatti, potrebbe ritenere intollerabile un rumore inferiore alle soglie sopracitate. Il superamento di detti limiti, però, è quasi sempre presunzione dell'intollerabilità dell'immissione.

Secondo la Cassazione: «In tema di immissioni sonore, l'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può fare considerare, senz'altro, lecite le immissioni» (Cass., sez. II, 12/05/2015, n. 9660).

Un rumore può semplicemente superare la normale tollerabilità, ed allora il comportamento del responsabile costituirà una violazione del solo art. 844 c.c., oppure può anche darsi che superi i limiti fissati dalla disciplina sull'inquinamento acustico (Legge n. 447/1995), con conseguente ulteriore sanzione amministrativa.

In sintesi:

  • il mancato rispetto dei limiti indicati dalla legge sull'inquinamento acustico, se provato, è sanzionabile in via amministrativa (ad esempio, il sindaco può emanare un'ordinanza per la cessazione) e, di conseguenza, anche in via privatistica, cioè per violazione dell'art. 844 c.c. Possiamo dunque affermare che la violazione dei limiti stabiliti dalla legge fa presumere anche la conseguente lesione dell'art. 844 c.c.;
  • di contro, il rispetto dei limiti fissati dalla legge sull'inquinamento acustico potrebbe comunque essere intollerabile per il vicino. In questo caso, scatterebbe la tutela civilistica ma non quella amministrativa.

    Ciò significa che, anche qualora i rumori fossero inferiori alle soglie sopra analizzate, comunque potrebbe integrarsi la tutela risarcitoria e inibitoria di cui all'art. 844 c.c.

Immissioni rumorose: come provarle?

Il giudice, nel valutare la tollerabilità o meno dell'immissione, può basarsi anche sulla base di prove testimoniali: se altre persone affermano di aver sentito gli stessi rumori, ritenendoli insopportabili, allora può ritenere provato il fatto lesivo.

Se questo è vero, è anche vero che la perizia tecnica è senz'altro il preferito nelle aule di giustizia. In tema di immissioni di rumore, va ricordato che i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d'ufficio, in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l'intensità dei suoni, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi.

Una sentenza della Suprema Corte (Cass., sent. n. 17051/2011) ha ricordato che il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, in ragione delle caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni intollerabili, sicché la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale.

Vicino rumoroso: ci si può rivolgere all'amministratore?

In linea di massima, è possibile rivolgersi all'amministratore di condominio soltanto se le questioni riguardano le parti comuni o, più in generale, le norme contenute nel regolamento.

Ad esempio, è possibile rivolgersi all'amministratore per segnalare:

  • l'occupazione o il danneggiamento delle parti comuni. Si pensi al condomino che posiziona i suoi beni sul pianerottolo, oppure ai ragazzi che imbrattano le pareti dell'androne;
  • il mancato rispetto delle fasce orarie di silenzio, se previste nel regolamento;
  • i danni provenienti dalle parti comuni, come ad esempio le infiltrazioni dal tetto o dal lastrico solare;
  • la cattiva manutenzione dell'edificio o di una parte dello stesso;

Insomma: è possibile rivolgersi all'amministratore di condominio se si riscontrano problemi nella gestione degli spazi comuni o se si verificano infrazioni del regolamento condominiale

L'amministratore non può agire per questioni fra inquilini. Ciò significa che l'amministratore non può fare nulla nel caso di liti tra vicini, ad esempio dovute a schiamazzi notturni o a controversie private di diverso tipo.

Ad esempio, se c'è un problema di infiltrazioni d'acqua proveniente dall'appartamento del piano superiore, la questione sarà meramente privata; l'amministratore non potrà, pertanto, intimare al condomino di riparare il danno causato all'altro condomino. Al contrario, avrebbe avuto voce in capitolo se il danno avesse riguardato una parte comune del condominio.

Dunque, se il vicino di casa dà fastidio, non ci si potrà rivolgere all'amministratore, in quanto si tratta di lite extracondominiale.

Rumori molesti dell'inquilino: è responsabile il proprietario?

La giurisprudenza ha spesso sostenuto che dei rumori intollerabili del conduttore non risponde il locatore. In questo senso la Suprema Corte (ex multis, Cass., ord. n. 16408/17), secondo cui non è responsabile, né è tenuto a risarcire i danni, il proprietario dell'appartamento se l'inquilino rumoroso dà fastidio ai vicini di casa.

Dello stesso tenore altra pronuncia (Cass, sent, n. 11125/2015) secondo cui il proprietario dell'immobile non risponde nemmeno qualora avesse omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi.

Ci sono però alcune sentenze che aprono la porta a una corresponsabilità del proprietario per le immissioni rumorose del conduttore.

Secondo una pronuncia del 2018 (Cass., ord. 1 marzo 2018, n. 4908), il proprietario è chiamato a rispondere nel caso in cui abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso dell'inquilino.

In altre parole, il locatore risponde dei danni che sono derivati a terzi dalla condotta illecita dell'inquilino solo qualora, al momento della stipula del contratto di locazione, avrebbe potuto prefigurarsi, utilizzando l'ordinaria diligenza dell'"uomo medio" (bonus pater familias), che il conduttore avrebbe «con ragionevole certezza» recato danni a terzi, provocando immissioni intollerabili.

Si tratta tuttavia di un orientamento piuttosto isolato, che limita la responsabilità del proprietario a quei casi in cui sarebbe stato evidente il danno del conduttore provocato dalle immissioni palesemente intollerabili dei vicini.

Per ipotesi, può prendersi il caso dello scrittore che, in cerca di tranquillità per terminare la sua nuova opera, prende in affitto un monolocale in un edificio apparentemente disabitato confidando nella quiete del posto, confermatagli peraltro dal locatore, il quale in malafede tace sulla presenza di inquilini rumorosissimi che si trovano al piano di sopra.

A parte ipotesi del genere, l'orientamento giurisprudenziale secondo cui sarebbe responsabile delle immissioni rumorose dell'inquilino anche il proprietario è decisamente minoritario, sovrastato da ben altro indirizzo, corroborato anche dalla sentenza della Suprema Corte citata in apertura (la numero 2474 del 27 gennaio 2022).

Quest'ultima, decidendo su un ricorso per revocazione, menziona un suo precedente (sentenza 15 giugno 2018 n. 15767) con cui, sconfessando quanto deciso dai giudici di merito, escludeva la responsabilità dei proprietari per le immissioni intollerabili provenienti dal locale adibito a discoteca dai conduttori.

La suddetta sentenza del 2018 riteneva che erroneamente il giudice di merito avesse affermato la sussistenza del nesso di causa tra la condotta dei proprietari dell'immobile (consistita nel non aver intimato al conduttore la cessazione delle immissioni moleste) e il danno lamentato dagli attori.

Il giudice di merito, infatti, aveva ascritto ai proprietari di non aver assunto alcuna iniziativa nei confronti del conduttore per dissuaderlo dal proseguire nell'attività fonte di immissioni intollerabili: ma tale opera di dissuasione, osservava la Corte di Cassazione, se fosse stata svolta avrebbe potuto al massimo condizionare il contegno del conduttore, non l'evento di danno, ascrivibile solo e soltanto agli inquilini.

Avverso questa pronuncia del 2018 proponevano ricorso per revocazione i vicini disturbati dalle immissioni rumorose, sostenendo, tra gli altri motivi, che, anche ad ammettere che il proprietario dell'immobile concesso in locazione non possa essere chiamato a rispondere dei danni non patrimoniali causati dalle immissioni intollerabili provocate dall'attività del conduttore, in ogni caso quella responsabilità doveva rimanere ferma per i danni patrimoniali.

La Suprema Corte, con la sentenza numero 2474 del 27 gennaio 2022, ha dichiarato inammissibile la revocazione. Così testualmente: «una volta stabilito in iure che il proprietario d'un immobile concesso in locazione non risponda dei danni causati dalle immissioni intollerabili provocate dal conduttore, nessuna differenziazione era possibile tra le conseguenze patrimoniali e quelle non patrimoniali del fatto illecito».

L'ennesima riprova, dunque, di quanto sia difficile attribuire la responsabilità delle immissioni rumorose provocate dall'inquilino anche al proprietario dell'immobile.

Immissioni rumorose: quando c'è reato?

Va infine ricordato che le immissioni particolarmente rumorose possono integrare il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo. Stabilisce infatti il codice penale (art. 659) che chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, o ancora suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda sino a 309 euro.

La norma prevede quindi due ipotesi diverse a seconda della fonte del rumore:

  1. nella generalità dei casi per far scattare il reato è necessario che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo;
  2. invece, quando il rumore provenga dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi (come quella che svolge all'interno di un pub e/o di un ristorante con musica dal vivo), si presume la turbativa della pubblica tranquillità e l'intollerabilità del rumore.

Mentre la prima ipotesi è, dunque, volta a tutelare il riposo e la tranquillità del vicinato e richiede l'accertamento concreto del disturbo arrecato, nella seconda invece, si prescinde dalla verificazione della misura del disturbo, integrando un'ipotesi di presunzione legale di rumorosità, al di là dei limiti tempro-spaziali e/o delle modalità di esercizio imposto dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità.

Fonte: https://www.condominioweb.com/rumori-molesti-dellinquilino-risponde-anche-il-proprietario.18991