Il delitto di appropriazione indebita in capo l'amministratore di condominio. Come si configura e quando si consuma

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Il fatto. Il Tribunale di Milano ha condannato il dott. Caio alla pena di anni uno di reclusione ed euro 5500 di multa, nonché al risarcimento del danno liquidato equitativamente in euro 30.000,00 oltre rivalutazioni ed interessi in favore del Condominio Beta, costituitosi parte civile; tanto perché quest'ultimo è stato ritenuto responsabile del delitto di appropriazione indebita per gli esercizi inerenti le gestioni degli anni 2007, 2008, 2009 e 2010, per non aver restituito la cassa e i documenti al Condominio.

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La Corte di Appello meneghina ha confermato la statuizione ma ha diminuito la pena a nove mesi di reclusione, ritenendo prescritto il reato riguardante l'annualità del 2007. La Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale (Sentenza nr 48070/2017), ha riformato il provvedimento precisando che la prescrizione del reato va computata diversamente.

La Sentenza. Sulla base di norme espressamente dichiarate inderogabili dall'articolo 1138 codice civile, comma quarto, l'amministratore del condominio dura in carica un anno e sottopone all'assemblea il preventivo e il consuntivo delle spese afferenti all'anno, ragion per cui la gestione viene rapportata alla competenza (annuale).

L'amministratore ha poi la detenzione “nomine alieno” delle somme di pertinenza del Condominio sulle quali opera effettuando prelievi e pagamenti vari in favore del Condominio medesimo.

Secondo la giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, l'amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condòmini delle disposizioni sul mandato (v. Cass. Civ. II sezione, 12.2.1997, n. 1286; Sez. II 14.12.93 n. 12304).

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La “resa del conto”. Ai sensi dell'articolo 1713 codice civile, il mandatario deve rendere al mandante il conto e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato, l'obbligo di restituzione sorge a seguito della conclusione dell'attività gestoria, salvo che l'estinzione avvenga prima di tale conclusione, e deve essere adempiuta non appena tale attività si è realizzata.

Di norma, la restituzione avviene in seguito al rendiconto annuale ma, ove ciò non avvenga (anche per meri errori contabili o perché devono essere ancora recuperate somme dovute da condòmini morosi o per altre cause), una volta che la gestione si conclude, e in difetto di contrarie disposizioni pattizie, l'amministratore del condominio è comunque tenuto alla restituzione, in riferimento a tutto quanto ha ricevuto nell'esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, e ciò indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono.

Dall'altra parte, che alla scadenza (o alla revoca del mandato) l'amministratore sia tenuto a restituire tutto ciò che ha in cassa si argomenta agevolmente dalla considerazione che egli potrebbe avere avuto anche l'incarico di recuperare somme dovute da condòmini morosi e riguardanti precedenti gestioni.

In effetti, sarebbe privo di senso ritenere che l'amministratore al momento della fine della gestione – sia che essa avvenga per la scadenza del termine, sia che avvenga prematuramente per effetto della revoca – debba restituire soltanto quanto afferisce la gestione dell'anno e non, invece, tutto quanto ha percepito per conto del condominio, comprese le somme riguardanti le precedenti gestioni (cfr, Cass. Civ., Sez. II, sent. N. 10815/2000 ).

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Il reato. Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (cfr, Cass. Civ., Sez. II, n. 29451/2013 Rv 257232).

Momento che, in caso di detenzione qualificata, si verifica quando il detentore rifiuti, anche per fatti concludenti, di restituire il bene che, in origine deteneva legittimamente.

La giurisprudenza di legittimità ha precisato, a tal proposito, che la mancata restituzione delle somme introitate di volta in volta in seguito ai vari rendiconti annuali non è dato certo di interversione del possesso da parte dell'amministratore di condominio, né è fatto di per sé incompatibile con la conservazione del danaro, del quale non è potuto comunque accertare la dispersione fino alla consegna della cassa (cfr, Cass. Sez. II, sent. 18864/2016).

Il momento consumtativo dell'appropriazione indebita, si può individuare in questi casi all'atto della cessazione della carica, in quanto solo allora si verifica con certezza l'interversione nel possesso (cfr, Cass. Sez. II, sent. N. 27363/2016).

Applicazione dei principi al caso trattato. Nella fattispecie trattata, così come accertato dal giudice del fatto (che però non ne ha tratto poi le dovute conseguenze ai fini del calcolo della prescrizione, valorizzando ai fini del momentoconsumativo del reato il dato del tutto neutro dell'inserimento, nei consuntivi approvati dall'assemblea, di fatture in realtà non pagate), il momento della interversione del possesso si è realizzato all'atto della consegna della cassa al nuovo amministratore, allorché l'imputato, non restituendo l'intero importo delle somme ricevute nel corso della sua gestione, ha manifestato chiaramente la volontà di voler trattenere per sé parte delle somme legittimamente detenute, e non utilizzate (o non ancora utilizzate) per le spese di gestione del condominio.

E di tali somme fino alla consegna della cassa non si è potuta accertare la dispersione, così come rilevato dalla ricostruzione della contabilità ad opera del nuovo amministratore e dalle stesse dichiarazioni dell'imputato, il quale – come evidenziato nello stesso ricorso – ha redatto i rendiconti facendo largo uso del criterio della competenza, anziché del criterio di cassa, con la conseguente esposizione di spese rendicontate, ma non ancora pagate.

Di conseguenza, del tutto inconferente sarebbe a riguardo la documentazione bancaria di cui si lamenta la mancata acquisizione, e che, comunque, come rilevato dalla Corte di Appello, ben avrebbe potuto essere prodotta dall'amministratore dimesso, ove lo avesse ritenuto necessario per la linea difensiva.

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Conclusione. L'ufficio dell'amministratore di Condominio degli Edifici è assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condòmini delle disposizioni sul mandato.

L'amministratore al momento della fine della gestione – sia che essa avvenga per la scadenza del termine, sia che avvenga prematuramente per effetto della revoca – è tenuto restituire non soltanto quanto afferisce la gestione dell'anno ma quanto ha percepito per conto del condominio, comprese le somme riguardanti le precedenti gestioni.

Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (cfr, Cass. Civ., Sez. II, n. 29451/2013 Rv 257232).

Momento che, in caso di detenzione qualificata, si verifica quando il detentore rifiuti, anche per fatti concludenti, di restituire il bene che, in origine deteneva legittimamente.

Il momento consumtativo dell'appropriazione indebita, dunque, si può individuare all'atto della cessazione della carica, in quanto solo allora si verifica con certezza l'interversione nel possesso, e non con riferimento all'annualità di gestione in considerazione.

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Fonte: www.condominioweb.com